mercoledì 28 novembre 2012

Conversioni energetiche


Ricordo, a battermi in petto, una centrale nucleare d'entusiasmo e vita e voglia di futuro. Ricordo le forze buttate sempre nel lavoro, le energie disperse e sperperate, l'attenzione ai mille stimoli in arrivo e in uscita: sempre accolti, mai deviati o rimbalzati. Ricordo la concentrazione spasmodica e distratta, e il costante frizzare dell'eccitazione. Ricordo la stanchezza sempre accantonata, fino allo spegnimento forzato di tutti i motori: il sonno comatoso che mi piombava addosso, dopo giorni di accellerazioni e rimbalzi. Ricordo le scorie prodotte da questo vortice radioattivo e lasciate sul terreno, al mio passaggio.

Mantenere una forma dell'idea di futuro è la cosa che mi costa più energia in assoluto. Così, ora  mi accerto che non ci siano dispersioni nella rete, rinnovo cavi e gangli, individuo (e spengo) le luci inutili o dispendiose. Rivedo il PIL, discuto del concetto di "crescita", spingo a fondo per raggruppare e concentrare le forze. Più d'ogni altra cosa, però mi sono convertito ad un sistema differente, e accedo volentieri ad una forma di energia alternativa: l'entusiasmo delle persone che mi stanno accanto, che m'illumina e ricarica come una batteria solare davanti al Solleone di Ferragosto. Restituendo un me stesso rinnovato e certamente più sostenibile.

lunedì 19 novembre 2012

Negli occhi


Le cose attorno sono cambiate tanto, in questi anni. Io sono cambiato tanto, in questi anni. Così, a volte, fatico a riconoscermi e fatico a orientarmi. E mi perdo. Mi bastano ancora le piccole cose, per farmi sperare in un futuro migliore? Posso guardare la speranza negli occhi per tirare avanti? E lo sguardo di ritorno mi darà un qualche sollievo?

Eppure, anche nel fondo di questo labirinto, resta una strana energia che mi dice di spingere avanti. C'è un fondo di insanabile follia, di incoscienza, che mi dice che prima o poi le cose andranno come voglio: che ci sarà davvero il modo per trasformare sogni e desideri in professione, che l'esperienza fatta e i libri letti e le cose studiate e ripetute avranno un senso pratico, che quasi quasi abiterò anche io in un posto col bosco in giardino e il fiume dietro la collina, che non smetterò mai più di fare l'amore per colpa delle giornate storte.

C'è quella strana energia. Persiste, nel suo insano ottimismo. E la coltivo, un passo alla volta, cercando di versarla un poco alla volta nella quotidianità, cercando la poesia e la magia quando attorno sembra essere tutto arido e buio. Persino nella TV e nei film a tarda serata. Negli SMS della distanza. Nel guardare la luna da un altro pianeta. Nei racconti delle adolescenti che incontro al lavoro. Nei gatti che mi salutano quando scendo dall'auto, sotto casa. Nei gracchi neri e nelle gazze giganti che vengono a cercare biscotti sbriciolati sul nostro balcone. Nella rabbia che mi trasforma e che non conoscevo. Nelle domande sul futuro che non mi sono mai posto.

giovedì 15 novembre 2012

Le mie giornate piene

 
 
La Principessa del Mare riempie le mie giornate. A volte anche solo il pensiero di lei. Mi riempiono le giornate i suoi sorrisi, i suoi bronci, i suoi sfoghi, la sua innata incapacità di mettersi addosso una coperta senza lasciar scoperti i piedi, ai quali pare non abituarsi mai, ora che è lontana dalle sue amate acque. 
 
A riempirmi le giornate, a volte, sono le lacrime che non piange e le parole che non dice: come la canzone che fa Filo filo del mio cuore, che dagli occhi porti al mare, c'è una lacrima nascosta che nessuno mi sa disegnare. A volte pure io mi dimentico come si disegnano le lacrime che non si vedono, e mi rammarico e mi dispero, ché stare al suo fianco dovrei guadagnarmelo anche così, e invece no.
 
Altre volte a riempirmi le giornate sono le sue mani, timide e riservate quanto le parole e gli sguardi, regalandomi carezze inattese e vaporose meditazioni, in dolcezza seconde solo alle sue risate: piene di gusto e di armonia. Perché quando ride, o s'imbarazza, la pelle del viso le si arrossa tutta e le incorncia le labbra, e le illumina gli occhi.
 
 
 
 

martedì 13 novembre 2012

Partecipazioni


Un tempo, nei miei sogni di universitario, la Progettazione Partecipata era l'archetipo della soluzione ad ogni conflitto urbano, periurbano, agricolo e viabilistico. E non solo.

Ora, nei miei sogni di geografo, la Progettazione Partecipata è uno strumento difficile da usare, che amministrazioni paurose e incompetenti faticano ad adottare: mettendo in piazza tutta la loro pochezza, oltre che un'atavica miopia sul futuro, e preferendo adottare tecnicistiche mosse politiche per attirare al tavolo delle trattative gli altri contendenti.

Così, una sera mi sveglio e sogno ad occhi aperti di una riunione, inizialmente pensata per soli consiglieri comunali, che si ribalta in assemblea pubblica e finisce per sbugiardare la posizione ambigua e teatrale dei tre sindaci organizzatori.

E mi dico che la Progettazione Partecipata sarebbe ancora una (la) soluzione: viste la competenza tecnica, l'interesse e la passione di cui sono capaci i Cittadini dell'area toccata dal più grande progetto infrastrutturale del Nord Italia.


lunedì 12 novembre 2012

I sogni, le mappe


Le mappe dei miei sogni sono confuse. Quando traccio qualche linea, sperando di vederci qualcosa di definito, poi quelle prendono vita: si spostano, si colorano o si stropicciano. Dipende se le guardo da lontano o da vicino, se le fisso intensamente, se le ammucchio o se le faccio scorrere e frusciare, come facevo con gli omini agli angoli dei block-notes, da bambino. Si comportano in modo diverso a seconda che mi metta a guardarle da solo o in coppia, o in gruppo. E anche a raccontarle, non sono mai le stesse.

Le mappe dei miei sogni sono confuse. A volte mi fanno paura. Quando non riesco a capire cosa sto disegnando, quando ho l'impressione che qualcosa esca dai contorni, quando Hic-sunt-leones è l'unica soluzione che mi viene in mente. A volte, invece, mi rendono curioso. Perché sembra che la cornice nasconda mille particolari che nel quadro non ci sono, perché sembra che di cornici ce ne siano tante quanti siano i sogni da incorniciare e che nessuna sia giusta-giusta per nessuno di loro.

Le mappe dei miei sogni sono confuse. Perché sono piene di colori e di accostamenti così diversi e così azzardarti che a descriverli mancano le parole, mancano le forme. E allora il gioco diventa interesse, e le parole diventano piccole linee sottili e tratteggiate che delimitano e confinano le sensazioni, le speranze e le paure. E s’impegnano per disegnare un intreccio di sentieri sempre più grande, sempre più particolareggiato, sempre più complesso.

Le mappe dei miei sogni sono confuse. Perché ci sono spazi da riempire, tempi da far scorrere, parole da allineare e sentieri da tracciare.