giovedì 26 dicembre 2013

Il Segreto dei Due Natali e Mezzo.




UNO-
Mi sveglio presto, ma non troppo.
Un po' di the e due biscotti.
Il caffé, mi raccomando.
Poi sistemo la cucina: tavolo libero, fornelli in ordine.
Si comincia. Uova, pangrattato, una manciata di polenta, un petto di tacchino.
Taglio, impano, spezio e salo.
Friggo e assaggio. Assaggio e friggo. Poi sistemo la cucina.
Meglio non pranzare. Meglio dormicchiare, che poi ho da fare.
Tavolo libero, fornelli in ordine.
Finocchi, cavolo, spezie e formaggi, pangrattato e una manciata di polenta.
Taglio a pezzetti, faccio bollire, inforno e mi gusto il profumo.
Impacchetto gli ultimi regali.
Autostrada. Arrivo presto e aiuto a sistemare.
Antipasti, primi, secondi, buffet.
Tengo via i cani dal cibo e intanto ne rubo un po'.
Arrivano tutti. La Famiglia è riunita. Ci sono tutti.
Quasi tutti, che manchi Te.
Ma che Natale...
Finalmente si mangia, io prima degli altri. Ridono: Apri le danze!
Antipasti in quantità, primi buonissimi.
I secondi magari domani? Domani.
Tombola! Ambo, terno, quaterno, cinquina, Tombola!
I regali riciclati, i regali annunciati e i regali imprevisti.
Estrazione! Primo giro, secondo giro, terzo giro.
Le frasi ad effetto, Che ti capita quella giusta per te. Rifletti!
Altri regali riciclati, altri regali annunciati, altri regali imprevisti.
Le risate, le risate, le risate. Vi voglio bene, ma tanto voi già lo sapete.
Sogni d'oro. Domani è Natale. No: è già arrivato. Auguri!
Ho sonno e sorrido, m'addormento e sogno.
Sogno di Te, che non sei qui.
Sogno di me, che non sono lì.

DUE-
Mi sveglio, tranquillo: il cibo è già pronto, i giochi li ho presi.
I regali li hanno già avuti.
Il telefono squilla: Passiamo noi, ci stai? Hai preso i limoni?
Forza che siamo in ritardo!
La Ciurma è quasi al completo. Questo è il Loro Natale.
Che poi è anche il mio.
Partiamo: la pioggia, il vento, i capannoni, le rotonde e le auto nevrotiche.
Le canzoni storpiate, le confessioni nelle orecchie, il racconto della Vigilia.
Arriviamo e la casa è una reggia piena di ninnoli e storie da farsi raccontare.
La tavola è enorme: bianca, con le candele rosse e il vitello tonnato nel centro.
Ci prepariamo. Metto la musica. Balliamo, ridiamo.
Imbarazzo, complicità, un pizzico di noia.
Le risate, le risate, le risate.
Ma la tua famiglia oggi non la vedi?
Ma la tua famiglia oggi siamo noi?
Una sorpresa dalla vecchia Guardia. Ci si confronta e ci si coccola.
Mangiamo e cantiamo: stonati, in coro, da soli, intonati, vergognosi e sfacciati.
Merenda con le cotolette impanate, una fetta di pandoro e due caffé, facciamo tre.
Si sbaracca in fretta, che è tardi!
Corriamo: la pioggia! Mi son dimenticato una borsa! Torniamo indietro!
Dai, veloce!
Raccogliamo una Bimba Dispersa.
Grazie del sonaglio, l'ho appeso sopra al letto.
Ne sono lieto.
Torniamo alla base: Camomilla per tutti?
Niente cena? Ma scherzi???
Filmetto e commenti a manetta.
Ma riesci a star zitto? E intanto si ride.
A nanna Ciurma, che è tardi.
Io dormo da sola? Ho paura. Posso tenere la luce? Possiamo parlare un pochino?
Raccontami del tuo Natale: io mi sono divertito tantissimo.
Anch'io!

E MEZZO-
Te, dai: l'anno prossimo, passiamolo assieme.























sabato 23 novembre 2013

Quella volta che il Ciclope Sottosopra prese il volo


Sottosopra era un Ciclope, ingombrante ed enorme. Aveva le braccia e le gambe lunghe, le mani grandi, i piedoni spaventosi e la pancia che cresceva di quando in quando, ma non diminuiva mai. A tavola mangiava per due Ciclopi, a letto occupava il posto per tre e quando rideva aveva una voce per quattro. Sottosopra era un Ciclope volubile: un giorno era ghiotto di pecore, un giorno le detestava, un giorno amava intagliare e ridipingere ponti e muraglie, un altro giorno li abbatteva con foga e gran divertimento. Sottosopra era un Ciclope a cui piaceva desiderare ed immaginare cose e situazioni. Non tanto che gli fossero utili, ma proprio che le voleva e le immaginava: leggeva un libro di filosofia? Voleva essere un filosofo. Leggeva un articolo di maglieria? Voleva diventare sarto. Parlava di barche col vicino? Voleva diventare un armatore possedere una flotta di navi e partire per commerciare coi quattro cantoni. E ne restava convinto fino alla scoperta successiva, fino alla prossima idea, fino alla trovata dopo.

"A voler questo e voler quello", gli diceva sua moglie Mignolina, "finirai per prendere il volo!" - e aggiungeva: "Guarda che poi finisce che sparisci sulla Luna e non ti veniamo mica a riprendere, sai?".

Sottosopra il Ciclope mica ci credeva, a quelle cose lì. Era grande e grosso, solido come una roccia e pesante come un macigno: di volatile non aveva proprio nulla. "Di sicuro, se c'è una cosa che non posso fare è volarmene via", continuava a ripetersi.

Piano piano, più si ripeteva che non poteva volarsene via, più si sentiva strano. Ciondolava di qua e di là, con una falcata instabile e barcollante, sempre preso dai suoi pensieri, col suo grosso e possente occhio puntato ora alle stelle, ora alla luna e qualche volta alle nuvole. Mignolina e gli altri abitanti del villaggio cercavano di chiedergli che cosa avesse e cominciarono a dirgli che se non la smetteva di tenere lo sguardo per aria, avrebbe finito per sotterrare qualcuno, tanto grossi erano i suoi piedi.

Ma niente: i pensieri di Sottosopra si facevano assillanti e lo rendevano insensibile agli avvertimenti. Un giorno decise che doveva sapere se e come, "a voler questo e quello", avrebbe mai potuto prendere il volo. Certo, lui era ancora convinto che non avrebbe potuto, ma gli era proprio venuta voglia di saperne di più.

Così fece quello che sapeva fare meglio e si mise alla ricerca di un libro che gli spiegasse se i Ciclopi possono o non possono volarsene via da un momento all'altro. Prese la sua borsa e andò alla biblioteca del villaggio, ma la bibliotecaria lo guardò perplesso: "Sottosopra, qui abbiamo libri semplici, per questo genere di libri devi andare in paese".

Sottosopra non ci pensò due volte: si girò e con una mezza giornata di cammino attraversò valle e fiume, piombando sul paese e precipitandosi verso la Biblioteca. "Signor Ciclope!" - domandò il luogotenente dei gendarmi, che gli bloccò la via, rosso in viso e molto intimorito - "E' un piacere averla qui, era un po' che non si faceva vedere... cosa possiamo fare per lei?"
"Cerco un libro che mi spieghi se e come i Ciclopi possono volarsene via all'improvviso"
"Chiederò al Bibliotecario, ma temo che qui ci siano solo volumi di giardinaggio, allevamento e robe così".
Sottosopra aspettò un bel po’ di tempo, nel quale si sedette sbadatamente su un carretto del mercato e si mise a giocare al tiro al piattello con le pecore d'un povero allevatore che passava di lì, lanciandole oltre al campanile. Tutto trafelato, il gendarme richiamò la sua attenzione: "Signor Ciclope Sottosopra, da noi, libri così non esistono. Vada in Città!"

Sottosopra lanciò stizzito l'ultima pecora, che belando arrivò talmente lontano e talmente in alto che alcuni dicono ancora di vederla passare a mo' di satellite nelle notti di Luna piena. Il Ciclope riprese la sua marcia, sempre più torvo in volto: ad ogni passo apriva buche sempre più profonde, ad ogni balzo saltava fossi e fiumi con rimbalzi sempre più possenti. Tanto che la terra aveva cominciato a tremare. E in città si erano accorti del suo arrivo da molto, molto lontano.

Ora, se voi foste il reggente di una città per bene, con le alte mura i fossati e tutto il resto, e vi accorgeste che un Ciclope enorme sta arrivando al galoppo come un terremoto verso di voi, cosa fareste? Il reggente della Città fece quello che sapeva fare meglio: chiamò a raccolta il Gran Consiglio dei Maghi. "Dobbiamo impedirgli di arrivare fin qui!" convennero i Maghi, che si appostarono lungo i bastioni più alti e cominciarono a invocare qualche strana Dea, due o tre spiriti dei Boschi e tutti e quattro gli Elementi: un po' per caso, un po' credendoci per davvero. 

Immaginate la sorpresa di Sottosopra quando, sempre più intestardito a raggiungere la biblioteca per trovare il libro che spiegasse come un Ciclope può prendere improvvisamente il volo, si sentì investire da un vento forte umido e turbolento, talmente vorticoso da riuscire a sollevarlo da terra. Le urla e le bestemmie che uscirono dalla bocca di Sottosopra convinsero ancora di più i Maghi che tenere lontano il Ciclope era decisamente la cosa giusta da fare, ed aumentarono il numero degli dei e dei santi e dei martiri che stavano invocando. Attorno a Sottosopra si creò un vero e proprio ciclone, che piano piano raggiunse dimensioni enormi, sollevando il povero Ciclope ben oltre le montagne, le nuvole e le stelle: fin dentro le valli più profonde della Luna. Pur lottando con la volontà  di un enorme Ciclope, Sottosopra non riuscì a far altro che a perdere le forze, andando a schiantarsi fortissimamente sul suolo lunare, fiacco stordito e privo di sensi. 

Quando Sottosopra rinvenne, ci mise del buono e del brutto per capire che aveva preso il volo davvero ed era finito sulla Luna. 

Era solo e lontano da casa. Non aveva nulla da mangiare e non aveva con sé altro che i vestiti che indossava e la sua borsa a tracolla. 

Frugò nella borsa e trovò un piccolo libro intitolato: "Quella volta che i Ciclopi impararono a scendere dalla Luna". 

Nella prima pagina, c'erano quattro o cinque paroline firmate a mano: "Adesso fatti venire la voglia di tornare a casa. Mignolina". 












lunedì 2 settembre 2013

Il mio Settembre



Pochi momenti della vita sono come Settembre. Perché Settembre è come un Muro del suono: ci sbatto contro pieno di energia e comincio a spingere, spingere, spingere, fino a che tutt'attorno non esplodono i colori dell'autunno e capisco come ho impostato l'anno che arriva. Capisco che se quel muro esplode bene, tutto scorrerà a meraviglia. Capisco che se il muro esplode male, o non esplode per nulla, vivrò un anno di rincorse e cose da finire.

Pochi momenti della vita sono come Settembre: forse giusto quando voglio capire l'Amore. Perché Settembre è come l'Amore: è come un muro del suono. Accelero e l'aria si scalda e si compatta e penso che non potrò mai passare di là. Eppure ci provo, perché spero che di là ci sia pace e silenzio e tanto spazio per volare senza resistenze. E non so, proprio non so, che ci sarà: ma ci spero.

mercoledì 28 agosto 2013

Chi visse sognando, sperò non si può dire?


In adolescenza dormivo e sognavo, in bianco e nero o a colori: al pomeriggio per lo più.  E sognavo per non vivere, tuffandomi in capriole dello spirito che mi facessero dimenticare gli scontri e le burle della vita, in un turbine di speranze lisergiche.

Poi le speranze son diventate aspettative: il lavoro l'amore il dovere e l'impegno han preso il sopravvento. Il sogno è stato allora quello del mattino, quello interrotto dalla sveglia, quello interrotto dai Tieni i piedi per terra.

C'e stato però, e c'è ancora, uno spazio nel quale il sogno è ad occhi aperti, mattino pomeriggio e sera: laggiù ci sono le strade del mondo, la polvere e la pioggia, la solitudine e l'incontro, la fame e uno zaino quasi vuoto, le scarpe consunte e una cartina rattoppata, le filosofie e la salvezza del mondo.

mercoledì 21 agosto 2013

I tuffi, dopo.




C’era il mare, una manciata di notti fa. Del resto c’è sempre il mare, quando ti sogno.

C’era il mare e noi eravamo nell’atrio di un grande edificio di legno e mattoni, in cima ad un’isola. Eravamo lì per lo spettacolo teatrale che i tuoi vecchi studenti tenevano per la fine del liceo. Erano tutti cresciuti e tu li salutavi con grandi sorrisi e lacrime gioiose. C’erano persino dei miei insegnanti delle superiori. Tutti mi stringevano le mani e mi sorridevano, e sorridevano anche a te e ti lasciavano passare tra loro: scansandosi gentilmente. Aspettavi un bambino.

La mattina dopo lo spettacolo, l’edificio era un centro termale: ti ci avevo portato in vista del parto. E mentre uscivamo all’aperto, guidati dal medico capo a visitare l’isola, il mare attorno disegnava le più belle insenature che si potessero immaginare: già sognavo di saltarci dentro. Ora però non potevo: Dopo il parto, dicevo, mentre il medico capo mi trascinava più in là, seguendoti.

E il mare intanto si gonfiava: sbatteva forte contro gli scogli, colorandosi di quel blu che è un po’ grigio e un po’ verde, di quando il mare si colora di scuro ma è tanto bello che vorresti tuffartici dentro e disperderti con le onde: bianche, segnate e piene di schiuma. Tu eri dolcissima, lenta, con una bella pancia tonda. E tutti ti salutavano e sorridevano e tu con loro. E camminavi, un po’ tra le onde, un po’ sulle passerelle.

Mentre io mi preoccupavo solo che il mare non ti portasse via, e di trovare il posto giusto dove avrei fatto i tuffi, dopo.




Accoglienze



- Io voglio!
- Fermo lì, trogolo!


- Io sono.
- Avanti, amor mio.




domenica 16 giugno 2013

Assieme




intrecciando
con garbo
corde e bastoni
foglie e castagne
pigne e conchiglie

intrecciamo
un poco alla volta
sogni e speranze
follie e bisogni
diritti e rovesci

giovedì 16 maggio 2013

In un giorno di pioggia







Ho baciato il mio amore con l'alba. Ho fatto colazione col Manifesto. Mi son spaccato la schiena con i frigoriferi. Ho bestemmiato l'umido dei vestiti bagnati dalla pioggia. Ho studiato la globalizzazione con gli occhi di una quindicenne. Ho discusso di rabbia preoccupazioni e genitori assenti o distruttivi. Ho chiacchierato di dove cominciano i percorsi virtuosi e di dove si chiudono i cerchi della vita. Ho mentito a me stesso sbuffando per un sopralluogo in palude sotto la bufera, per poi trovarmi a saltare nelle pozzanghere e nei ruscelli in piena, col mio solito sorriso melone. Ho ricevuto in regalo un piatto di risotto coi funghi servito in una forma di grana. Ho sentito l'amore e la solitudine. Ho discusso di quali intelligenze manchino al turista insubre quando visita la sua terra. Ho aspettato che un treno passasse, scrivendo il mio giorno e sognando la mia notte: ciondolante a bordo d'una foglia lungo un ruscello in piena.




venerdì 3 maggio 2013

Un pensiero per Nonna Flaide


Non credo in un unico Dio e non credo in un'unica Chiesa.
Non credo che esista un al-di-là fatto di nuvole e luce e cori angelici, o fiamme e forconi e demoni straziatori.

Credo in valori che glorificano la vita, ogni forma di vita, come un sacro sforzo che combatte l'entropia dell'Universo: qui e ora. Una forza che dà forma alla materia e impedisce che tutto vada nella direzione congeniale: la dispersione di energie e calore. Credo che la vita - così come la conosciamo - sia sostanzialmente questo: una bellissima, sacra, immensa ostinazione al mantenimento di una forma, di una identità, di una storia. Una sorta di ecologia della volontà, come amo definirla. 

Certo, le scienze potranno spiegarmi sempre meglio i "come", e solo le religioni e le filosofie potranno affrontare i "perché". Penso, però, che le religioni e le filosofie siano tutte talmente affascinanti che credere in un Creatore dalla barba bianca o in una Creatrice dalle mille braccia sia solo una questione di sfumature. Scegliete la vostra: per me sono tutte sacre visioni per un sacro bisogno. 

Nonna Flaide è venuta a mancare ieri mattina.
Sicuramente non so dire "perché" sia esistita, ma so dire "come" ha vissuto. 

Ha vissuto come una donna forte, reattiva alla vita e alle difficoltà, inondata da una forza di volontà prorompente, che le ha permesso di combattere la povertà della guerra e diventare imprenditrice. La prima donna del paese ad avere la patente e l'automobile. La prima donna del paese a costruire attorno alla sua macchina da cucire una ditta. La prima donna del paese a stipendiare e comandare qualcuno. 

Che donna, Nonna Flaide. Non è mai stata inutilmente affettuosa o tenera, ma era lei a farmi fare la merenda con la scatoletta di tonno, di nascosto, al fresco del suo salotto. Ed era lei ad arrabbiarsi come una matta quando le rubavo i bastoni delle scope per inventarmi spade e lance con coi giocare in giardino, salvo poi mandare qualcuno a comprarne di nuovi, senza voler indietro quelli sottratti.

Sicuramente non so dire "perché si muoia", ma penso di sapere "come si resta in vita" anche dopo la morte. Per me - che l'esistenza è un grande ecosistema - la volontà, le azioni, le memorie delle persone che se ne vanno vengono attaccate da piccoli organismi decompositori sociali. L'elaborazione del lutto, il ricordo collettivo, le dicerie, le risate sulle questioni buffe, il confronto sulle ultime parole, i "ti ricordi quando...?", i "mi diceva sempre..." o i "non mi ha mai detto...": tutto questo rielabora la vita della persona che non c'é più e la spezzetta in sostanze nutritive esistenziali che vanno ad arricchire l'humus sociale nel quale le persone rimaste vivono ancora. 

Credo che Nonna Flaide sia ora un bellissimo e sacro racconto di volontà e speranza per la nostra famiglia ed un esempio per i figli dei figli. 



domenica 24 marzo 2013

Domenica





Un volano,
che gira e riprende
le voglie, le forze, le foglie,
che apre le porte
su altre doglie, su altre soglie.

Così, un racconto:
la voce tua della fantasia
per me
che resto in attesa

d'esser mosso
e smosso
come una foglia
una voglia
una soglia.

venerdì 22 marzo 2013

Vieni!



Ti chiamerei
con la voce dei fili d'erba
se sapessi il tuo nome,
primavera:
che 'l piovoso inverno
ha imbarcato le travi e crepato
i muri
umidi e pendenti.
 
Ti chiamerei
a risplendere
e asciugare le pesanti colline
che non calpesto per non perdere
le scarpe, nella motta di marzo.
 
Ti chiamerei
a raccontar con voce squillante
le tue storie dolci di riflessi sull'acqua
non più neve,
primavera!
Arriva,
arriva:
vieni!

lunedì 4 marzo 2013

Tra le mani, davanti agli occhi


Vorrei disegnare il tempo che mi scorre tra le mani. 
Vorrei disegnare il coraggio che mi manca davanti all'evidenza dei fatti. 
Vorrei disegnare le scelte che fanno paura, le mani che tremano al pensiero di chiedere alla vita una svolta, gli occhi che si sbarrano a vedere il bivio della vita avanti a me avvicinarsi e incalzarmi.
Vorrei disegnare le svolte e le volte che ho cambiato la vita, i punti fermi dei quali mai mi sono accorto se non dopo averli superati: non tornerò più indietro, non li passerò mai più. 
Vorrei disegnare i sogni che prendono strade diverse, le persone che s'allontanano e i legami che si stirano, si assottigliano, si piegano e si spiegano: fili di luce in un labirinto di splendidi mattoni dorati e specchi e siepi intricate e altissime. 
Vorrei disegnare la piena coscienza di quanto succede, e la piena miopia di quanto non voglio vedere o disegnare. E la paura che fa, e la voglia che sgorga, perché tutto accada, perché tutto si manifesti: e si torni a vivere e non a sperare, non a fissare il vuoto dei giorni che passano e le ore che potrebbero altrimenti riempirsi di sogni fattivi e prorompenti.

mercoledì 2 gennaio 2013

Un altare ad un dio differente

 
 
... e in ogni angolo della mia anima, c'è un altare ad un dio differente....
 
 
Così  scriveva Pessoa, negli anni a cavallo tra i Dieci e i Venti del Novecento. 
 
E se fosse così anche per me?
 
Quali altari potrebbero albergare nella mia anima?
A quali Dei sarebbero votati?
Quali deschi sarebbero lucidi e pieni di sacra energia? 
E quali oscuri, tenebrosi, quasi privi di vita?
Quali altri sarebbero in divernire?
E quali, infine, gettati nella polvere, sbeccati e dimenticati?
 
Se in ogni angolo della mia anima ci fosse un altare ad un dio differente...
 
... Ci sarebbe il monile d'una Dea dalle grandi mani e lo sguardo aperto, le braccia larghe, pronte a fermare e ad accogliere. E l'anima lo indosserebbe e ne assumerebbe le sembianze per adorarla fermando e accogliendo le anime altrui. 
 
... Ci sarebbe la maschera d'una follia incontrollabile, da indossare ballando e scuotendo le braccia le gambe e le cose attorno, lanciando, smembrando e demolendo ogni forma, non avendo altra soluzione che non l'immane e prorompente espulsione d'ogni carica accumulata.
 
... Ci sarebbe la figura d'una Dea, col viso disteso e la pelle d'avorio, con gambe e braccia raccolte sotto di sé, la nuda schiena e le spalle scoperte dai capelli, a mostrare le palme dei piedi e delle mani, appena sotto le curve mai pronunciate. L'anima l'accarezzerebbe e la bacerebbe senza sosta o ritegno, adorandola e spingendola ad aprirsi con ogni mezzo e malizia.
 
... Ci sarebbe il busto di un Dio senza volto con tutti i volti, con otto e mille braccia. E in ogni braccio un pendaglio ch'é mille pendagli. E indossando il busto, l'anima richiamerebbe ogni oggetto e immagine e personaggio da far vivere in sé e davanti a sé: una Luna di formaggio e le nuvole di panna, Darwin innamorato e Rodari al telefono, spade scintillanti e alberi parlanti, futuri possibili e mete sempre raggiungibili, i racconti nelle stelle e nelle anime ribelli... 
 
... Ci sarebbe un'incudine e, accanto, un martello. E l'anima picchierebbe duro il metallo e la materia tutta, fino a trarne la forma e l'essenza agognata. Pesando, misurando e colpendo la materia scaldata e modellata: bruciando e consumando una parte di sé, fino ad assomigliare ad un grande sole cocente.
 
... Ci sarebbero due scarpe col fondo di piombo e due guanti di velluto, che l'anima indosserebbe per camminare sui fondali scoscesi della vita più grama e torba, per rallentare e guardare le cose e le persone per quello che sono. E trattarle con la cura dovuta.
 
... Ci sarebbero una montagna ed un fiume, una cascata ed un mare, del vento e un paesaggio infinito. E l'anima si dissolverebbe in loro, diventando filo d'erba e radice di quercia, spruzzo d'acqua e sasso che rotola, pietra millenaria e foglia morta.
 
Se così fosse, questa sarebbe la mappa degli Altari nella mia anima... Questa e altre mille ancora che si scrivono e si disegnano ad ogni passo, ad ogni parola.